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37° WEN – 1 e 2 LUGLIO 2023: IL NUOVO TEMA PER IL WEEK-END DEL NARRATORE È “AMICIZIA”

L’iniziativa WEN (il Week-End del Narratore) lanciata dal GSF sul proprio Blog, continua  dopo la numerosissima partecipazione ai precedenti temi “Covid-19”, “Quanti siamo”, “Là fuori”, “Acqua”, “Fuoco”, “Terra”, “Aria”, “Ira”, “Avarizia”, “Invidia”, “Superbia”, “Gola”, “Accidia”, “Lussuria”, “Figli”, “Genitori”, “Fratelli”, “Antenati”, “Parenti”, “Coniugi”, “Sogno”, “Incubo”, “Visione”, “Ossessione”, “Schizofrenia”, “Follia”, “Siccità” , “Carestia”, “Inquinamento e salute”, “Surriscaldamento e desertificazione”, “Biodiversità ed Equilibrio ecologico”, “Sostenibilità e riciclo”, “Passione”, “Estasi”, “Paura” e “Angoscia”.

È ora in corso un ciclo sui sentimenti.

Stiamo dunque affrontando questi argomenti:

  • “Passione”,
  • “Estasi”,
  • “Paura”,
  • “Angoscia”,
  • Amicizia”, “
  • “Tristezza”
  • “Felicità”,
  • “Sorpresa”,
  • “Odio”.

Speriamo che gli argomenti possano essere di stimolo per le vostre scritture.

Il tema di questo mese è dunque:

AMICIZIA”.

Le regole sono sempre le stesse:

  • RACCONTI E POESIE DI MAX 3.500 BATTUTE SPAZI INCLUSI

(con una certa tolleranza, accettiamo sempre testi anche attorno ai 4.000 caratteri o anche più lunghi, spazi inclusi, ma questo vuole anche essere un esercizio per sforzarci a essere sintetici e imparare a tagliare il superfluo, pertanto Vi preghiamo di cercare di rispettare questa semplice regola).

  • Potete inviare anche più di un contributo.
  • Possibilmente inviate i vostri lavori in formato word.
  • Se avete immagini che possono illustrare il vostro testo, potete inviarle in formato jpeg.
  • I testi dovranno pervenire ENTRO IL 23 GIUGNO 2023 all’indirizzo:

blogautori.gsf@gmail.com

Sabato saranno pubblicati i racconti e domenica le poesie.

Negli altri giorni pubblichiamo le vostre recensioni di libri. Sono soprattutto gradite quelle delle opere di autori del GSF. 

Questa è una delle numerose iniziative del GSF – Gruppo Scrittori Firenze. Per partecipare al WEN non è necessario essere soci, ma chi volesse iscriversi per il 2023 può farlo qui (l’abbonamento costa € 15,00) e saremo lieti di accoglierlo tra noi e di avere il suo supporto.

I soci del GSF possono partecipare anche ai nostri progetti di antologia, far parte della giuria del Premio La Città sul Ponte, avere agevolazioni per i nostri corsi di scrittura, aderire ai gruppi di lettura e molto altro.

E se avete romanzi, editi o inediti, racconti, poesie o monologhi teatrali non dimenticatevi di leggere i bandi dei Premi: potrebbe essere un’occasione.

La scadenza è il 15 Giugno 2023.

Anche se non è un’iniziativa del GSF, vi vorrei segnalare la possibilità di partecipare a un’antologia di genere fantastico che parla di viaggi spaziali, telepatia e teletrasporto: il Progetto “Dal Profondo”, che, tra le altre cose affronta, come questo ciclo di WEN, le tematiche ambientali. C’è tempo fino al 30 Giugno 2023. Affrettatevi.

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IL PREMIO LA CITTÀ SUL PONTE SI FA IN DUE

Già l’edizione del Premio La Città sul Ponte del 2022 era stata ricca di novità:

  • per la prima volta il GSF Gruppo Scrittori Firenze, organizzatore del concorso, era stato affiancato da alcuni sponsor (il Gruppo Editoriale Tabula FatiCarmignani Editrice, Tipografia la Nuova Calducci e Scrittoriitaliani.net, mentre continua la collaborazione con Il Teatro del Legame, che da tempo collabora per la sezione dei monologhi teatrali), permettendo un contatto diretto con degli editori,
  • si era aggiunta la nuova sezione del romanzo self-publishing,
  • vi era una nuova gamma di premi per i finalisti e
  • tanti nuovi giurati erano arrivati a dare man forte al già folto gruppo precedente.
  • Considerando che per le opere inedite i testi giungono ai giurati in forma del tutto anonima, dal 2022 è consentito anche ai soci di concorrere in queste sezioni, purché ovviamente non siano loro stessi dei giurati. Restano escluse le sezioni dei romanzi editi da case editrici o in self-publishing.

Si ricorda che l’opera vincitrice della sezione Romanzo Edito, concorre al prestigioso Premio Letterario Toscana.

Da quest’anno, per l’Ottava Edizione 2023, agli sponsor si è aggiunta la casa editrice GoWare e, soprattutto, per la prima volta il Premio è stato diviso in due, il premio letterario di narrativa La Città sul Ponte e il premio letterario di poesia La Città sul Ponte in Versi, ciascuno con il proprio bando e i propri giurati. Al secondo partecipa da quest’anno anche La Camerata dei Poeti di Firenze, con propri giurati. Questo ha permesso di aggiungere un’ulteriore sezione, la Silloge Poetica, che si affianca così Poesia e Poetry Slam, per questo premio; romanzo edito, romanzo inedito, romanzo self-publishing,  racconto e monologo per il premio di narrativa.

Presidente del Premio La Città sul Ponte di narrativa è Paolo Ciampi. Presidente del Premio La Città sul Ponte in Versi di poesia è Carmelo Consoli.

Qui trovate il Bando e i giurati del Premio la Città sul Ponte di narrativa e qui il Bando e i giurati del Premio La Città sul Ponte in Versi di poesia.

La scadenza per inviare le opere è per entrambi il 15 Giugno 2023.

L’indirizzo di entrambi i premi è ponte.gsf@gmail.com.

Floriano Romboli legge “Teorie evoluzionistiche in antropologia” di Viola e Michele Petullà

Anche l’agile volumetto Teorie evoluzionistiche in antropologia. Modelli e sviluppi (Miano Editore, Milano 2023), scritto da Michele e Viola Petullà con notevole sicurezza di informazione e pregevole chiarezza didascalico-divulgativa, riferisce di una circostanza aneddotica non trascurabile perché senz’altro rivelatrice. La prima edizione de L’origine delle specie per mezzo della selezione naturale (On the Origin of Species by Means of Natural Selection) di Charles Darwin fu posta in vendita a Londra una domenica del novembre 1859, per l’esattezza il giorno 24. Il giovane editore John Murray si era tenuto prudente e aveva tirato 1250 copie che andarono esaurite in quella stessa giornata, a testimonianza di un preesistente, diffuso interesse, che era cresciuto progressivamente, come preparato da un’intensa stagione di studî iniziata con l’età dell’Illuminismo, la quale dette un contributo fondamentale a che s’instaurasse una visione razionale e scientifica della vicenda storica degli uomini e segnatamente della realtà naturale, fisico-biologica, astronomica e paleontologica.

In altri termini può dirsi che l’opera maggiore del grande naturalista inglese intercettava con felice tempestività una “domanda” culturale rafforzatasi nel tempo e lo faceva sulla base di un metodo d’indagine rigorosamente critico-empirico, frutto di una paziente, sistematica ricerca sul campo – divenne presto celebre il suo viaggio, durato cinque anni, a bordo del brigantino Beagle nelle terre più remote del globo, e in particolare alle isole Galàpagos -, nel corso della quale raccolse gran messe di dati, ordinati poi ed elaborati alla luce di alcuni principî generalmente esplicativi, divenuti assunti teorici rapidamente affermatisi in forza della perspicuità e dell’efficacia descrittive e interpretative di essi.

Il darwinismo più specificamente comportò la dicovery of time, la scoperta del tempo nella natura, in aperta opposizione all’astorica “fissità” delle specie propria della concezione del medico e botanico svedese Carlo Linneo, illustrata nell’imponente lavoro Systema naturae, pubblicato nel 1735 e in seguito integrato e completato, e  bene sintetizzabile nel suo celebre motto: “Species tot sunt diversae quot diversas formas ab initio creavit Supremum Ens” (“Tante e diverse sono le specie viventi quante forme diverse fin dall’inizio creò l’Essere Superiore”).  Il creazionismo e il fissismo linneani costituivano il punto di approdo, nell’epoca illuministico-scientifica, di una plurisecolare tradizione di pensiero filosofico-religioso imperniato sulla saldatura fra l’aristotelismo e il racconto biblico, giacché invero lungamente “la narrazione della Bibbia fu considerata non solo un testo religioso, ma anche un documento scientifico” (p.19).

Gli autori non nascondono di certo il fatto che ipotesi trasformistiche si fossero altresì affacciate in tempi precedenti, addirittura nell’antichità, e ricordano Anassimandro, Eraclito, il medico Ippocrate, la scuola atomistica e lo splendido poema De rerum natura dello scrittore latino Tito Lucrezio Caro. Si trattò comunque di posizioni marginali e soprattutto contraddistinte dal tratto peculiare della pura speculazione teoretica. In età moderna la dottrina proto-evoluzionistica ha avuto i suoi rappresentanti autorevoli in Buffon (Degenerazionismo), Cuvier (Catastrofismo), Hutton e Lyell e il loro Uniformismo e in particolare Jean-Baptiste Lamarck, con le sue tesi circa la modificazione delle specie quale conseguenza dell’adattamento all’ambiente e della trasmissione ereditaria dei caratteri acquisiti.

Nel libro c’è spazio pure per le teorie contemporanee dell’evoluzione, che constano largamente di approfondimenti in chiave genetistica della lezione darwiniana (ad esempio il saltazionismo, oppure la teoria cosiddetta degli equilibri punteggiati); la proposta naturalistica di Darwin resta nondimeno centrale nella trattazione, e i suoi capisaldi concettuali (“caso – variazione – selezione naturale”) vengono definiti nell’incidenza operativa e nella loro pregnanza cultural-problematica con esauriente incisività.

In conclusione ritengo suggestiva l’immagine-simbolo dei processi che hanno caratterizzato il sorgere e il perpetuarsi della vita nel pianeta, un’immagine emblematicamente e neo-darwinisticamente raffigurante l’albero della vita, cioè un modello di sviluppo non lineare, bensì riconducibile a un’ideale frondosità irregolare e aggrovigliata, a “un intricato ed enorme cespuglio, in cui la nostra specie rappresenta solo un ramoscello molto recente”(p.77).

di Floriano Romboli

Michele Petullà, Viola Petullà, Teorie evoluzionistiche in antropologia. Modelli e sviluppi, premessa di Enzo Concardi, Guido Miano Editore, Milano 2023, pp. 84, isbn 979-12-81351-01-1, mianoposta@gmail.com.

Raffaele Piazza legge “Teorie evoluzionistiche in antropologia” di Viola e Michele Petullà

Il saggio che prendiamo in considerazione in questa sede presenta una premessa di Enzo Concardi acuta e ricca di acribia; scrive il critico che siamo di fronte ad un lavoro che ci conduce all’interno dell’appassionante dibattito sviluppatosi intorno al tema dell’evoluzione, una vasta e complessa materia che si estende anche ad altre discipline oltre l’antropologia – come la biologia, la filosofia, la sociologia e in genere le scienze umane e della natura.

Come leggiamo nell’introduzione nell’opera viene trattato ed approfondito il tema relativo ai modelli e agli sviluppi della Teoria dell’evoluzione nelle molteplici e diverse accezioni con cui è stata presentata nel corso della storia: un argomento che trova spazio e s’inserisce nell’ambito della disciplina dell’Antropologia.

Evoluzione, nel senso biologico della parola, significa un lento e graduale perfezionamento delle specie umane e vegetali dalle forme più semplici a quelle più differenziate come organizzazione anatomica e funzionamento fisiologico. È stata spiegata variamente con le ipotesi di Lamarck e di Darwin e di altri sostenitori dell’evoluzionismo in generale.

Come scrivono gli autorinel paragrafo Inquadramento teorico: Antropologia ed Evoluzionismo – Definizione della disciplina, l’Antropologia, come disciplina scientifica, può essere definita come “la scienza dell’uomo” la quale si concretizza come concezione, teoria, programma di ricerche sull’uomo inteso sia come soggetto individuale (persona a sé), sia come soggetto collettivo (all’interno di aggregati, gruppi, comunità).

Sintetizzare il saggio nella sua totalità e complessità nello spazio di una recensione, nel tentativo di coglierne la chiave interpretativa e i concetti salienti, sottende ovviamente il risultato di una comprensione non completa del testo nei particolari per il lettore e lo rimanda alla lettura integrale tout-court per l’acquisizione di tutti i contenuti che sono articolati e compositi

A proposito di quanto detto, Concardi nella premessa scrive che la pubblicazione ha un carattere e quindi uno scopo divulgativo-didattico: tant’è vero che se ne consiglia l’utilizzo anche da parte delle scuole superiori soprattutto nei licei ad indirizzo “scienze umane e pedagogiche”. È lampante che, in un mondo giovanile liquido e alienato come quello attuale dove domina il consumismo connesso alla tecnologia, parlare di antropologia ed evoluzionismo ai ragazzi è qualcosa di particolarmente interessante e pregnante. Da parte dei docenti serve per dare ai giovani coordinate nuove e diverse da quelle dominanti del mondo attuale e può essere paragonato questo modello culturale e didattico a quello dello studio delle poesie. Entrambi i modelli vanno sotto il nome di pensiero divergente diverso dai modelli dell’avere e del materialismo, da quello delle tre s sesso, soldi e successo. Non a caso l’antropologia come già detto è la scienza dell’uomo e con l’arte può aprire le porte ad un nuovo umanesimo.

L’origine della specie è un tema affascinante e interessantissimo anche per gli uomini del terzo Millennio per venire a capo della nostra provenienza e molti studiosi si sono accostati a questo tema per fornire soluzioni diverse o meglio interpretazioni per spiegare il fenomeno.

E, per esempio, il filosofo francese Jean Guitton nell’opera Dio e la scienza afferma che la materia che forma l’uomo, le specie animali e vegetali ma anche i mari, i monti il sole la luna, i pianeti e tutto quello che ha un’essenza sensibile è cosi composita e perfetta che solo una mente ordinatrice poteva realizzarla; e qui si tocca la tematica dell’esistenza di Dio.

È un lavoro originalissimo quello che Michele e Viola Petullà ci presentano nel nostro panorama della contemporaneità, stimolante per tutti i lettori ma soprattutto per i giovani studenti di cui si diceva.

Come scrivono gli autori nell’introduzione, l’opera muove dalla consapevolezza che fare una storia della teoria dell’evoluzionismo e dei suoi sviluppi nel tempo, non è cosa semplice, data la complessità della materia e i diversi e molteplici elementi che entrano in gioco nonché l’accavallarsi e il mescolarsi di considerazioni di carattere biologico e antropologico ma anche sociologico che nel corso della storia si sono verificati riguardo a questo tema.

È veramente affascinante pensare che l’Antropologia scienza dell’uomo si arricchisce nelle sue cognizioni anche nella ricerca sul campo quando appunto gli antropologi si recano su luoghi particolari nei quali vivono comunità di persone ancora legate a modelli primitivi di vita, come gli aborigeni, i pigmei e gli eschimesi che hanno usi e costumi ancestrali e anche forme di religiosità e civiltà lontane anni luce da quelle del nostro postmoderno occidentale tecnologico e cibernetico quando per esempio alcuni popoli compiano ancora rituali di tipo religioso come la danza della pioggia e anche riti che servono nelle mentalità primitive a fecondare la terra.

Un lavoro importante quello degli autori per il fortunato lettore che s’imbatte in queste pagine dense e redatte con una forte coscienza letteraria e anche scientifica.

di Raffaele Piazza

Michele PetullÀ, Viola PetullÀ, Teorie evoluzionistiche in antropologia. Modelli e sviluppi, premessa di Enzo Concardi, Guido Miano Editore, Milano 2023, pp. 84, isbn 979-12-81351-01-1, mianoposta@gmail.com.

WEN – ANGOSCIA – 16 maggio – Ada Ascari

Angoscia
oggi sento
che sono laggiù
con la mia pena
dentro

Dentro
il corpo
poi nell’anima
perché non riesco a
pensare.

Pensare
oggi è
troppo per me
mentre fuori cade la
pioggia.

Pioggia,
in me
c’è molto dolore
perché sento piangere il
mondo

Mondo
di barbari
pieno di lupi,
mi chiudo in casa
sola.

Sola
in silenzio
anche se vorrei
gridare tutta la mia
angoscia

WEN – ANGOSCIA – La verità di Jonathan (in versi) – Chat GPT

Nell’ombra tetra di notturna luce,
ove oscurità danza, spaventosa,
l’angoscia soffocante abbraccia il cuore,
un tempo che si smarrisce tra le nebbie.
Jonathan, anima inquieta e tormentata,
nel tempo avvolto di fragili certezze,
vive in un’era d’angoscia dilatata,
ove il terrore domina le sue preghiere.
L’umanità, come gusci vuoti di vita,
vaga smarrita in vie prive di speranza,
mangiata dall’angoscia che si aggira,
dissolvendo ogni traccia di fiducia.
Jonathan, assediato da oscuri sogni,
creature malvagie infestano la mente,
sfida l’abisso oltre l’umano confine,
in cerca di risposte in terre oscure.

Attraverso boschi in ombre e desolati,
Jonathan raggiunge un monastero antico,
scritte arcane rivestono i muri stanchi,
mentre il silenzio fende l’animo nero.

In quel luogo proibito, svela il vero,
l’angoscia che lo avvolge è di natura
primordiale, oscura come il mistero,
che nutre la sua stessa esistenza impura.

L’equilibrio mentale si frantuma,
Jonathan si abbandona alla follia,
invocando le ombre che lo consumano,
le sue urla echeggiano nella notte.

L’angoscia si diffonde, come un veleno,
infettando ogni spirito in questo mondo,

le città sono deserte, l’orrore è pieno,
l’umanità scompare nell’abisso profondo.
La storia di Jonathan si fonde al buio,
un eco lontano di tempi passati,
mentre l’angoscia regna sovrana, un rio,
che annienta ogni vita, senza sconti.

In questa notte eterna, il mondo giace,
il terrore danza nell’ombra impervia,
l’angoscia ha trionfato, nulla è rimasto,
solo silenzio e desolazione infinita.

E così, nell’abisso dell’angoscia nera,
l’umanità si spegne, svanisce nel nulla,
mentre il cuore di Jonathan si dispera,
un destino di terrore e desolazione avvolta.

Versi scritti da Chat GPT, riscrivendo in versi il racconto pubblicato ieri, con lo stesso titolo.

WEN – ANGOSCIA – Non sapeva che si chiamasse angoscia – Ada Ascari

Non sapeva che si chiamasse angoscia fino a che non le si presentò sotto forma di sogno una notte in cui credeva che il pozzo nero della vita la stesse inghiottendo fino alla fine del mondo.
Un pozzo tanto profondo di cui non si vedeva la fine e che la stava facendo precipitare non sapeva dove.
Un sogno le aveva aperto gli occhi una notte che non riusciva a dormire e in cui un attimo di tregua le aveva fatto chiudere gli occhi più per sfinitezza che per stanchezza.

Aveva visto se stessa sola e indifesa, talmente indifesa sotto gli occhi di chi la stava guardando che tutta l’angoscia le si rovesciò addosso senza potersi difendere. 

E allora capì, capì che stava per arrivare alla fine, che il pozzo avrebbe visto il suo corpo sul fondo, un corpo nudo e ferito, che l’avrebbe accolto in un mondo migliore.

Il suo lutto si stava compiendo, capì all’improvviso che l’unica soluzione era andarsene in silenzio, come se ne era andato il suo orgoglio, la considerazione di sé, la sicurezza di donna che si credeva amata e che invece era solo stata usata. 

Angoscia, terribile, riusciva a malapena a respirare, ogni soluzione razionale era lontana, ogni pensiero positivo era svanito, restava solo la solitudine, il dolore,  la sensazione terribile di essere impotente e inutile sulla terra. 

Fu allora che capì quello che doveva fare, e lasciò che l’angoscia prendesse il sopravvento.

WEN – ANGOSCIA – Pony Express – Laura Gronchi

Cesare pedala, e si logora.
Ne ho assolutamente bisogno!
Mentre curva, lo zaino giallo si sposta, però non si ferma, annaspa con la mano dietro la schiena finché riesce a rimetterlo dritto, torna poi a pestare sui pedali come non ci fosse un domani.
A fine serata avrò i soldi.
Questo è il motore che lo sprona.
Dovrei esserci…
Alza la testa e legge: “Via Foscolo”.
Svolta e cerca il civico cinquantasei.
Impenna e salta sul marciapiedi, pochi metri e inchioda davanti al portone, poi poggia la bici al muro.
Cerca il nome, suona il campanello, intanto tira fuori le pizze dallo zaino.
Un profumino di pane abbrustolito, pomodoro e mozzarella, si spande attorno.
Il citofono gracchia qualcosa.
«Pizza Express!» grida di rimando.
L’androne s’illumina e un tizio arriva scendendo le scale.
«Fanno trentacinque euro. Contanti o bancomat?»
L’altro raspa nel portafogli e allunga le banconote precise.
I cartoni stampati con un chiassoso panorama napoletano passano di mano, poi Cesare è di nuovo in sella, direzione ristorante.
All’arrivo le ordinazioni non sono pronte.
Mette lo zaino su una sedia e prende il cellulare.
Trova un messaggio.
Un brivido lo attraversa.
«L’altro arriva a centodieci euro» legge.
No!
Lo stomaco si contrae in preda all’angoscia.
La mano sudata trema mentre digita: «Posso arrivare a centoventi.»
Li prenderò dai risparmi per l’affitto.
Gli rimbombano in testa le parole del padre: «Tasse universitarie e libri li pago io, per l’alloggio e il resto dovrai arrangiarti da solo. È bene che impari il valore dei soldi.»
Si gratta la nuca dandosi dell’imbecille.
Accidenti a me e al mio maledetto vizio!
«Quattro stagioni e margherite pronte per Bianchi!»
Cesare ficca il telefono in tasca e scatta. Impila le pizze nello zaino e un secondo dopo è già in strada.
Durante il tragitto, l’odore di marcio si mescola a quello di fogna.
Al semaforo, le esalazioni delle marmitte coprono ogni cosa.
Il piede scalpita sul pedale, lo sguardo è fisso sul rosso che pare dipinto.
Diamo un’occhiata al telefono.
Un altro messaggio.
Si sente mordere la nuca dall’apprensione.
Scatta il verde ma fa in tempo a leggerlo. «Ho una bustina sola. L’altro mi dà centotrenta. Che fai? Dove sei?»
Di nuovo lo stomaco che brucia, ma deve riprendere a pedalare.
Consegna e rientra.
E ora?
Il pensiero insistente, si rincorre nel capo. Lo consuma.
Mentre attende in pizzeria, fruga nel portafogli, conta le monete, anche quelle di rame.
Poi risponde. «Centoquaranta, non di più! Sarò al pub all’ora stabilita. La roba è mia! Non cercare di cambiare le carte in tavola!»
Arriva a fine serata esausto, ripone la divisa e riscuote il dovuto.
Vola poi al pub.
Entra nel locale e trova l’uomo seduto vicino ai bagni, come anticipato.
«Ce ne hai messo di tempo!»
«Sono le undici in punto. Allora? La bustina?»
«Prima i soldi.»
«Fammi controllare la qualità!»
L’altro infila la mano in tasca e gli sbatte il palmo sotto al naso.
«Contento?» Richiude il pugno e stende l’altra. «Fuori il grano.»
Cesare paga.
Finalmente è mia!
Il cuore batte all’impazzata, il sudore gli imperla fronte e basette.
Non resiste ed entra in bagno.
Preme tutti gli interruttori e toglie la macchinina dalla confezione. L’avvicina alla lampada e la esamina.
È perfetta! Neanche un graffio!
A casa si butta sul letto. Sul volto il sorriso scemo che lo ha accompagnato per tutto il tragitto.
Infila la mano in tasca ed estrae il raro modellino di autopompa dei VV. F.
Poi si alza e lo ripone in mezzo alla collezione.
Adesso è completa.
Ha rischiato pagando in anticipo l’iscrizione alla Fiera del Collezionismo di domenica prossima.
Adesso può tirare un sospiro di sollievo, e riprendere a sognare.
Magari, chissà, potrei  anche finire nel Guinness dei primati!

di Laura Gronchi

WEN – ANGOSCIA – Natalia -Antonietta Toso

Non riuscivo a credere al destino che mi guidava verso l’abitazione della donna dei desideri proibiti.

Pregustavo l’estasi di averla fra le braccia. Le sue mani sotto la mia camicia. Immaginavo di spogliarla, di amarla con la furia di un uragano. Sollevai il bacino per la sensazione di sentirla. Portai la mano verso il basso in cerca di sollievo. Nessuna nube ci avvolgeva come nei sogni.

Parcheggiai la macchina lontano dalla sua casa per fare due passi, calmarmi, invece danzavo. 
Suonai il campanello.

La donna si affacciò alla finestra, titubante. «Ah, sei tu?»
Era forse infastidita? Non capivo. Smisi di ballare.
É solo sorpresa

I minuti passavano. Stavo per andarmene, quand’ecco che aprì.
«Entra. Scusami, ti ho fatto attendere» disse e intanto si pettinava i capelli con le dita, tratteneva una molletta fra le labbra, ne infilava una nella ciocca sulle spalle nude. 
«Se disturbo vado via subito. Ti ho portato la torta di mele del compleanno di mia figlia.Ha compiuto otto anni
«Nessun disturbo.»

Scorsi, in fondo al corridoio, in controluce, la sagoma, alta, mingherlina, di un uomo.
«Hai ospiti» dissi instupidito da quei pensieri infami che, la sua testa arruffata, i capelli sciolti, scatenarono.
«Non lo riconosci? Lo so è cambiato molto.» Le labbra presero un verso amaro.

Guardai con più attenzione l’ospite dalla barba incolta, i piedi scalzi, sporchi. Malvestito, ricordava i figli dei fiori, ma gli occhi erano quelli del suo ragazzo. 
«Voleva far parte degli Tippie. Ci sono state liti furibonde. Il padre lo ha preso a calci e a pugni. Gli ha urlato di andarsene, di non mettere più piede in questa casa. Lo ha cancellato dalla sua vita.  Rinnegato come figlio.» 

Natalia smise di parlare, era in attesa del mio giudizio che non arrivava, quindi continuò: «Fui costretta a lasciarlo andare ma, appena mio marito si allontana, mi viene a trovare.»

Natalia parlava e guardava lontano, pareva raccontare quella triste storia al mondo intero. Catturata dalla passione per quel figlio che non avrebbe più varcato la porta della sua casa alla luce del sole, non mi vedeva.
Ma che vita è mai quella di Natalia?

Abbassai la testa per non farmi catturare dalla morsa del suo sguardo, per uscire da quella storia che, come una piovra metteva i suoi tentacoli su di me. 
Seppur turbato, ero adirato, commosso. Angosciato.

Smaniavo di andarmene per rimanere da solo a udire i pensieri parlare fra di loro. Prendersi a botte, amplificare un baccano lungo anni. C’era da impazzire.
Con quale coraggio si può corteggiare una donna disperata, perennemente affranta?              

L’amore per Natalia soccombeva sotto la scure delle sue pene. Non ero il genere di persona che si fortificava in virtù dei propri strazi. Tuttavia, l’attrazione per quella donna non mi lasciava. Si mescolava a dubbi, certezze, pregiudizi e i muri che ci dividevano iniziarono a oscillare, i solchi a sparire. Eppure me ne dovevo andare, lasciare Natalia al suo destino che un amore segreto o dichiarato, voleva complicare.

Tuttavia non mi davo pace. Mi tremavano i polsi. L’angoscia mi mangiava l’anima. Il cuore si faceva rumoroso. Picchiava contro il petto. La passione malata o autentica che fosse e che da anni lo attraversava, non lo consumava, né lo sfiniva, al contrario, lo sfamava, rinvigoriva.
«Sei così innamorata di tuo marito da non poterlo lasciare per andare da tuo figlio?» dissi mentre si aggirava per le stanze a fissare la temperatura del termostato a 20°.
«Oggi fa un caldo irresistibile» rispose.

Ah, se solo lo avesse fatto, le mie angosce e le sue, si sarebbero disperse nei sussulti, nelle spinte di due corpi l’uno nell’altro.

Fiamme incendiarono la storia triste di Natalia. La incenerirono. Lingue di fuoco si propagarono nelle viscere, inturgidirono il sesso che premeva contro la cintura tanto da sentir male. Mi sfuggì un pianto vano. Un inutile lamento.

Con lo sguardo imploravo Natalia di volgere gli occhi verso il basso.
Le afferrai i polsi per costringere le sue serafiche mani a toccarmi, a desiderarmi.
I nostri sguardi si mescolarono fra di loro come pozioni di veleno.
La liberai.         

di Antonietta Toso

WEN – ANGOSCIA – Il frigorifero – Adriano Muzzi

La prima cosa da capire sarebbe stata perché fossi rinchiuso in un cavolo di frigorifero. La seconda: chi mi aveva messo lì e perché. Ma non fu la mia prima priorità. Avevo troppo freddo per pensare razionalmente. Avevo i brividi e i peli irti come quelli di un istrice.

Cercai di spingere con entrambe le mani per uscire, ma la porta del frigo non si mosse di un centimetro. Forse era uno di quelle ghiacciaie con la maniglia di sicurezza all’esterno. Mi accucciai in posizione fetale e iniziai a tirare calci. Dopo un po’ qualcosa s’iniziò a muovere, uno lama di luce si fece strada dai bordi e alla fino la porta si aprì con un “clang”.

Uscii urlando come un forsennato, ma i versi che uscirono dalla mia bocca sembravano più un lamento di un animale in gabbia, una sorta di violino accordato male. La cucina sembrava la mia, non c’era dubbio. Mi mossi con circospezione per capire se ci fosse qualche intruso che mi potesse tendere un agguato. Sembrava tutto silenzioso, nessuna traccia di esseri viventi oltre me. Del resto, la mia “ex” moglie se ne era andata qualche settimana fa, nessun figlio, né gatto o cane. Io e il mio dannato appartamento vuoto. E quindi?

Mi spostai in bagno per guardarmi allo specchio e capire se mi fossi ferito in qualche modo. Rimasi a bocca aperta. Quello che vidi riflesso non mi piacque affatto, anzi, mi terrorizzò.

Dinnanzi a me non c’era più la mia faccia, ma il mio volto stava lentamente mutando. La pelle si stava ricoprendo di una sottile peluria verde, mentre i miei occhi diventavano più grandi e sporgenti.

La bocca si allungò in una sorta di becco, mentre le braccia e le gambe si restringevano in lunghe e sottili zampe. Stavo mutando in una cavalletta!? Una creatura che avevo visto tante volte nei campi e nei prati. Cavolo! Che schifo!

La mia mente è ancora umana, pensai, ma il corpo stava ormai trasformandosi in quello di un insetto. Con un grido di disperazione, cercai di afferrarmi allo specchio per impedire la trasformazione, ma era troppo tardi.

Mi ritrovai sul pavimento, le zampe appoggiate sul parquet, che a ogni passo facevano un rumore come di bastoncini su una latta di plastica vuota. La vista era migliorata e potevo percepire i dettagli del mondo intorno a me con una precisione incredibile. I peli del tappeto sotto il lavandino sembravano alberi dell’Amazzonia.

Ero diventato una maledetta cavalletta gigante.

“Deve essere lo stress!”, dissi tra me e me, ma le zampe al posto delle mani mi dicevano tutt’altro.

Non mi potevo arrendere così, presi l’unica decisione razionale che si potesse considerare in quel momento: mi distesi sul letto sempre troppo vuoto, e aspettai il sonno. Ero sicuro che mi trovassi solo in un brutto sogno. Sì, doveva essere per forza così.

La mattina dopo, la prima luce del mattino mi svegliò, aprii un occhio e…

di Adriano Muzzi

WEN – ANGOSCIA – Un vago senso d’angoscia – Massimo Acciai Baggiani e Renato Campinoti

Oggi ho un vago senso d’angoscia, come se stesse per succedere qualcosa di brutto. Non so spiegarmi questa strana sensazione: tutto procede come al solito, non ho in vista niente di particolare come una visita medica o una magagna a casa, insomma, le cose vanno abbastanza bene, nella norma.

Eppure quest’angoscia, questa paura, mi accompagna dal momento in cui sono uscito di casa per andare in ufficio. Mi ha tenuto compagnia per tutto il tempo passato davanti al computer e non mi ha abbandonato neanche al momento di timbrare il cartellino d’uscita. Vi è mai capitato di avere questa bruttissima sensazione? Come una spada di Damocle giunta ormai prossima al punto di rottura del filo che la tiene sospesa sopra la vostra testa? Come se da un momento all’altro il cielo stesse per crollarvi addosso? Senza un motivo, per lo meno apparente?

Decido di non pensarci e di andare a prendere qualcosa al bar all’angolo. Guardo l’orologio: sono le quattro in punto. A quest’ora ci sono i bomboloni caldi. Sento l’acquolina salirmi in bocca e per un po’ quel malumore svanisce. Sì, un bombolone caldo, ripieno di Nutella, è quel che ci vuole. Un bel bombolone per curare tutte le ubbie. Entro sicuro nel bar e adocchio la fila di bomboloni in mezzo alle altre paste che dovrebbero essere uscite adesso dalla friggitrice.

«Sono caldi?» domando al barista, un ragazzo con capelli corti e baffetti, dall’aria simpatica. Non l’ho mai visto prima, immagino sia nuovo.

«Sì, sono usciti ora.»

«Prendo quello con la Nutella.»

Quando mi porge il bombolone sento subito che non è caldo. Possibile che si sia già raffreddato? Senza pensare ci do un morso, per sentire se almeno è fatto da poco. No, come minimo l’hanno fatto questa mattina.

«Non è caldo» protesto con il barista. Quello alza le spalle e mormora qualcosa del tipo che oggi hanno fatto i bomboloni un po’ prima, alle tre e mezza.

Butto giù un altro boccone, poco convinto. È chiaro che non l’hanno fatto mezz’ora fa. Se c’è una cosa che odio sono i bomboloni freddi e stantii. Ha un saporaccio. Lo sputo nel cestino dove finisce anche il resto dell’orrenda merenda.

«È cattivo» dico, tirando comunque fuori i soldi per pagare quella ciofeca. Il barista prende gli spiccioli – un euro e venti – e li butta nella cassa, senza una parola. Me ne vado disgustato, con l’idea di non rimettere più piede in quel locale. Ho fatto solo pochi passi nella strada quando un impulso irresistibile mi spinge a girare sui tacchi e a tornare indietro, verso il bar. Quel senso d’angoscia è tornato prepotente, insieme alla rabbia e alla frustrazione.

«Evidentemente ho fatto bene a tornare indietro», mi dico quando, fatti pochi passi, sento un forte botto alle mie spalle, mi volto e vedo un grosso camion che, saltata di netto la propria corsia di marcia, ha invaso il marciapiede sul quale mi trovavo solo pochi attimi fa, andando a schiantarsi contro il muro dell’abitazione che costeggia l’ampio viale cittadino. Fortunatamente sembra che nessuno si sia fatto male: l’autista scende incolume dall’abitacolo del suo mezzo e va a parlare con una signora che deve essere la titolare della palazzina cui è stato fatto un bel buco nel muro sotto la finestra del piano terreno. L’unico che si sarebbe fatto male sarei stato io se mi fossi trovato, pochi secondi fa, ancora all’angolo della via dove è avvenuto il cozzo. Il senso di angoscia continua a crescermi dentro, ma non mi fermo e, mentre i due alzano il volume della voce e si scambiano parole irripetibili sull’accaduto, sono comunque determinato a ritornare in quel bar e far valere le mie ragioni. Non è possibile essere trattati in questo modo! Sarà poco, ma buttar via anche solo un euro e venti e dover sputare la robaccia che mi hanno propinato, non mi va per niente bene! Tuttavia, mentre mi avvicino al locale, più che la rabbia è l’angoscia che prende di nuovo il sopravvento, come se stesse per accadere ancora qualcosa che mi riguardi. Affretto il passo, un po’ per scrollarmi di dosso quel malessere che continua a tormentarmi, un po’ per regolare i conti col ragazzetto che si è fatto beffe di me, senza neppure immaginare di non farmi pagare quel pezzo di roba fredda e schifosa che mi ha fatto mettere in bocca. Il malessere e l’angoscia non passano e proprio mentre sto per avvicinarmi alla porta del bar, sento un urlo forsennato e un abbaiare sguaiato che vengono proprio nella mia direzione. «Scansatevi…scansatevi…è un maledetto molosso che ha preso la rabbia…non vi avvicinate per l’amor del cielo!». Eccolo! Un cane enorme di colore scuro, grande quasi quanto un ragazzo, sta venendo verso di me, abbaiando in un modo che non ho sentito altre volte, con rabbia, appunto, con un ringhio di sottofondo stridulo e malato, che mette i brividi solo a sentirlo! Dietro sta correndo un uomo con in mano uno di quegli attrezzi che usano gli accalappiacani, con un bastone lungo in fondo al quale c’è il cappio per bloccare l’animale. Ora davvero la mia angoscia è al colmo. Come farò a scansare questa bestiaccia, che se riesce ad azzannarmi rischia di mandarmi all’altro mondo con il veleno che mi trasmette? Mi guardo in giro, non vedo vie di fuga mentre quello continua ad avanzare e sembra avermi messo nel mirino. L’unico punto di fuga è l’ingresso del bar, sull’uscio del quale c’è il giovane del bombolone freddo che mi guarda più con curiosità («voglio vedere come fai a scansare il cane!», sembra dire con una faccia da impunito!) che non con l’invito a entrare nel suo locale! Ormai siamo molto vicini. Sto davvero per svenire dall’angoscia e dalla paura. Il cane ormai mi fissa dritto negli occhi, si sofferma come per prendere la mira e saltarmi addosso. Con fare istintivo, mi tappo gli occhi con le mani in attesa di trovarmi addosso quella bestia infettata e che sembra non aspettare altro che affondare le zanne nella mia carne. Sento un ulteriore, rabbioso, rantolo del molosso. Mi aspetto di averlo addosso, ma non salta! Allargo le dita della mano destra che mi coprono l’occhio e vedo che l’uomo con l’attrezzo è riuscito a infilare il cappio nella testa dell’animale, il quale si divincola, si arrabbia ancora di più, ma è bloccato e non potrà più fare male a nessuno. Tiro finalmente un sospiro di sollievo. L’angoscia per un po’ sembra allentarsi. Ringrazio quell’uomo che sta portando il cane verso il camioncino del canile dove, come ci tiene ad informarmi, dopo una puntura per addormentarlo per fargli ingerire le medicine del caso, verrà trasportato e messo in isolamento per alcuni giorni. Fino alla sua guarigione. Decido di entrare comunque nel bar e parlare con quel ragazzotto che sembrava godere della situazione in cui mie ero venuto a trovare. Non faccio in tempo a mettere piede sulla soglia del locale che un suono acuto e fastidioso mi assale. Guardo la faccia del giovane che sembra quasi mettersi a ridere, mentre sono di nuovo assalito da incertezze e angoscia. Mi fa segno di avvicinarmi senza paura. Il suono ricomincia e ora anch’io comincio a riconoscerlo. Allungo un braccio e spengo la sveglia sul comodino! Metto i piedi fuori dal letto anche per prepararmi e andare al lavoro. Mi tocco la pancia sempre più prominente. «Devi perdere almeno dieci, meglio quindici chili di peso. E devi mangiare poco e leggero la sera. Altrimenti ogni notte ti troverai preso da pesantezza e forme anche acute di angoscia. Mi raccomando, fai come ti dico!» mi ha detto più volte il mio medico ogni volta che gli parlo di questi incubi. Finora ho sottovalutato i suoi consigli, ma bisogna che mi decida a fare quello che mi dice!

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