WEN – LUSSURIA – Lussuria – Laura Gronchi

Il “Vaniglia” era una di quelle discoteche da bordo spiaggia, che duravano il tempo di far cassa con la vendita di droghe sintetiche e alcol di bassa categoria, per poi sparire a fine stagione.

Tutto era precario e arrangiato, dagli impianti realizzati da amici del titolare, che forse manco avevano l’abilitazione, ai servizi igienici riassunti in due spogliatoi adattati ad ospitare lavandini e cessi alla turca.

Per gli scarichi di bar e bagni si erano allacciati abusivamente a quelli del vicino stabilimento balneare, il cui proprietario, in cambio di una cospicua mazzetta, aveva finito per accettare. Pure assessori e dipendenti comunali erano stati riccamente foraggiati, per ottenere in breve tempo tutti i permessi e le autorizzazioni.

L’inaugurazione era stata pubblicizzata sui principali quotidiani locali, cosicché già a partire dalla metà del pomeriggio del giorno stabilito, parecchia gente aveva preso a gravitarvi attorno per non rimanere esclusa dall’evento.

Alle diciotto in punto iniziò la solfa.

Ben presto la modesta baracca di legno adibita a bar fu presa d’assalto, così come il buffet ricolmo di salati.

Alle venti il gruppetto di Marco e i suoi quattro amici fecero ingresso nel locale. Erano su di giri, già bevuti e fatti di coca.

«Oste! Cinque AK-47 svelto!» Ordinò con arroganza Marco al barista, un magrebino pieno di piercing e treccine.

«Calmati cocco, e vai a farti la fila alla cassa», ribatté flemmatico l’altro che continuò a servire chi c’era prima e aveva lo scontrino.

Vistosi ignorato, il ragazzo salì sulla barra poggiapiedi, agguantò l’inserviente per la maglietta e gli ripeté sgarbato l’ordinazione.

«Cinque AK-47. Subito. Non farmelo ripetere.» Poi lo mollò.

«Ah! Buonasera signor Mainardi! Benvenuto nel nostro locale!» esclamò il direttore sopraggiungendo alle spalle del gruppetto. «Spero vi stiate divertendo.»

«Si certo, grazie. Bella serata e splendida musica.» Ripose educato il ragazzo, per poi sorridere cattivo verso il banco. «Peccato non possa dire altrettanto del personale. Io e i miei amici vorremmo bere ma non ci riusciamo.»

«Non hanno lo scontrino», si difese il magrebino.

«Non ne hanno bisogno. Marco è figlio del boss, servili subito. Passa parola anche con gli altri, che non ci siano altri problemi durante l’inaugurazione.» lo rimproverò il direttore prima di andarsene.

Con i bicchieri colmi s’inoltrarono nella calca di corpi che ballavano al ritmo di rock. Stettero un po’ lì finché un gruppetto di ragazze esagitate non attirò la loro attenzione.

Si avvicinarono, spararono diverse battute, ci furono risate, poi in dieci si diressero di nuovo verso il bancone, da cui tornarono con parecchi drink e una

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boccia intera di whisky. Scavalcarono la recinzione che separava la discoteca dalla spiaggia attrezzata, e s’impadronirono di lettini e sdraio che trascinarono a riva, e su cui si stravaccarono continuando a bere e impasticcarsi.

Le risate si fecero sguaiate, avevano caldo e lo sciabordio del mare li richiamò come una sirena. Si spogliarono e si buttarono tra le placide onde, dove caddero come birilli per rialzarsi tra grida e schiamazzi. Iniziarono gli abbracci, i baci, le carezze lascive che sfociarono in rapporti frettolosi consumati in acqua, sulla sabbia o sui lettini.

Si addormentarono d’un botto lì dove stavano, per risvegliarsi infreddoliti all’alba, smarriti; in alcune delle ragazze ci fu anche del fugace imbarazzo, subito fugato dal whisky avanzato che si passarono l’un l’altro.

Storditi tornarono alle macchine salutandosi fiacchi, qualche scambio di numero di cellulare, blande promesse di rivedersi, poi il ritorno a casa.

di Laura Gronchi

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