Giornata di pioggia, giornata di ricordi, si dice Claudia, osservando il prato smeraldino dalla finestra. Ha appena finito di fare il gelato alla crema, e un delizioso aroma di vaniglia pervade la cucina.
La mente vaga e si sofferma su un pomeriggio del passato, profumato d’infanzia e di dolci fatti in casa da sua nonna.
Piccole mani impacciate che sgusciavano nella tortiera per cospargerla di burro, il miscuglio giallino di uova, zucchero e farina, girato e rigirato a mano, che finiva inghiottito dalla rovente bocca del forno.

E poi lei e la cugina Silvia in attesa davanti al vetro, con gli uncinetti in mano a imbastire variopinte presine per la cucina, usando gli scampoli di filo avanzati.
Una volta sfornato, le vecchie mani dividevano il dolce in due parti, e lo incartavano alla buona, riusando i sacchetti del pane, affinché fosse portato alle famiglie.
E per loro iniziava il divertimento, di grattare via i residui rimasti nella teglia, dolcissimi e un poco bruciacchiati, ma che si scioglievano in bocca.
I ricordi adesso escono fuori come schiuma di birra da un boccale troppo pieno. Com’erano belli i pomeriggi passati da“Nonna Giggì”.
Gina Giorgi, così si chiamava la nonna, nei bigliettini d’auguri si firmava solo con le iniziali, da qui il soprannome che le era stato dato.
La rammenta vestita sempre di scuro, in memoria di un marito defunto da qualche decennio, ultima superstite di una stirpe di donne contadine nell’animo, che sapevano far fruttare qualunque cosa gli fosse data in mano.
Era un asso nell’allevare polli, conigli e mantenere la vigna, insuperabile nell’arte d’impastare pane, dolci e focacce. In cucina avrebbe dato filo da torcere ai vari Cracco e Marchesi. Il sugo sul coniglio e il cinghiale in umido erano così prelibati, che nessun ristorante è mai riuscito a eguagliarli.
Depositaria di una saggezza antica, basata sull’alternarsi delle stagioni, aveva tentato di farne partecipi le nipoti, che tuttavia non l’avevano capita.
Adesso Claudia se ne dispiace, com’eravamo sciocche, ridevamo e la prendevamo in giro sotto voce, mentre adesso pagherei oro per rammentare anche solo un brandello di quelle parole.
Scaccia via il rammarico e passa oltre.
Rivede Nonna Giggì con in braccio un bel mazzo di gladioli, appena recisi dalla sua piccola serra privata, avvolti con cura nella carta del giornale, lei e Silvia che le trotterellavano dietro lungo la breve strada che portava al cimitero.
La foto altera sulla tomba del nonno, uno sconosciuto con i baffetti, la calvizie incipiente e il muso a topo. Il muretto candido come neve illuminato dal sole, i fiori multicolori e gli ordinati vialetti di ghiaino chiaro. Le loro risate argentine che risuonavano tra le pareti, mentre correvano a prendere l’acqua alla fontanella, con la nonna che le esortava a fare piano, i ritratti vecchi e sbiaditi sulle lapidi, spunto di innumerevoli storie di fantasmi.
Claudia è commossa, era tanto che non pensava a quel periodo. Sente gli occhi umidi e tira su con il naso. Ha perso di vista Silvia e anche il resto del parentado. Si sentono a malapena per gli auguri di Pasqua e di Natale, sempre frettolose a rincorrere qualche impegno di lavoro o familiare.
Sarebbe bello potersi rivedere. Fa per prendere il cellulare poi ci ripensa. Magari disturbo e poi cosa le dico? È passato tanto tempo, avesse avuto voglia di sentirmi, mi avrebbe di certo chiamata. E ripone il telefono nella borsa.
di Laura Gronchi
Malinconica verità del non cercare chi non ti cerca e la conseguenza logica del perdersi di vista!!
Penso che sia stata la nostalgia a risvegliare i ricordi e la nostalgia è quella che mi ha preso leggendo.
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