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Antonella Cipriani legge ” Niente di vero” di Veronica Raimo

“Niente di vero” di Veronica Raimo (Einaudi 2022)

Primo libro dell’autrice, incuriosita dalla sinossi e riflettendo sul senso ambiguo del titolo che può alludere a Nessuna verità come a Niente sul personaggio di Veronica, ho pensato che doveva essere un’opera assai intrigante, “diversa”. Infatti, come sempre l’intuito e qualche positiva recensione di persone fidate, non mi hanno smentito.

Roma, anni settanta, famiglia medio borghese, caporeparto aziendale il padre, insegnante la madre. Veronica è una bambina intelligente e assai sveglia, anche se deve competere col fratello maggiore per i suoi numerosi e insuperabili talenti. I due ragazzini sono costretti a giocare e a inventarsi storie entro le mura di casa per scongiurare possibili disgrazie o malattie che il padre vede ovunque e in continuo agguato. Un mondo assai restrittivo e al contempo stimolante per Veronica, dai tanti soprannomi: Verika, Oca, Smilzi, Scarafona, Veca, Onica… e anche Troia. Già questo ce la dice lunga sul personaggio, che come gli appellativi sembra rivestire ruoli, personalità, aspettative sempre diverse e non sempre per scelta propria. La nostra curiosità trova soddisfazione dalle descrizioni esaurienti, efficaci, colorate non prive di ragionamenti e riflessioni che l’autrice ci regala col suo dialogo fluido e ininterrotto col lettore. L’iperprotettività del padre unita alla sua maniacale ossessione per le malattie, l’iperapprensività, la frustrazione e la depressione della madre, porteranno Veronica e suo fratello a sublimare l’apparente negazione alla vita dei genitori, cercando strade personali e differenti, sebbene unite dalla passione per la scrittura: “Io e mio fratello siamo diventati tutti e due scrittori. Non so cosa risponda lui quando gli chiedono come mai, io dico che è grazie a tutta la noia che ci hanno trasmesso i nostri genitori”. Meraviglioso constatare come la scrittura assuma anche questo ruolo e abbia un potere così rigenerante, come rappresenti un’attività capace di vincere sul tedio, di sopperire le mancanze. Inventare storie, costruire mondi offre la possibilità di vivere anche ciò che è impossibile nella vita reale.

Definirlo un romanzo di formazione è assai svilente, anche se di fatto si assiste alla crescita del personaggio attraverso le fasi dell’infanzia, adolescenza, età adulta, si osserva l’evoluzione del suo mondo interiore attraverso il cambiamento del rapporto con i genitori, col fratello, con gli svariati amanti, con gli amici e amiche che condividono le sue esperienze. È facile affezionarsi a Veronica, una personalità autentica che non segue mode e modelli, consigli e surrogati, solamente la sua voce interiore, quel dialogo costante con sé stessa favorito anche dalla scrittura, che la espone al mondo, sperimentando sulla propria pelle (fughe continue da casa, trasferimenti da una città all’altra, viaggi in autostop, relazioni con ragazzi di cui regolarmente si innamora) , senza i giudizi svalutanti e ansiosi della madre e le sentenze apocalittiche del padre.

Emblematica una frase che penso riassuma bene la sua personalità: “Nella mia vita non vedo mai il bicchiere mezzo pieno. Nemmeno mezzo vuoto. Lo vedo sempre sul punto di rovesciarsi. Oppure non lo vedo proprio. Non c’è nessun bicchiere. Non c’è niente. Sono di fronte a un tavolino brutto e sopra il nulla. Potrebbe sparire anche il tavolino. Anzi, è già sparito. Non mi resta l’assenza, ma la perplessità”. Una visione di sé che va oltre la superficie, che focalizzerei sulla parola “perplessità”. Ecco Veronica è una donna perlopiù incerta (“Sono sempre stata aliena al concetto di lasciarsi andare per un motivo molto banale: non so dove dovrei andare”), una donna piena di dubbi, alla ricerca di una dimensione sua più che di una verità, per questo curiosa e desiderosa di conoscere, sperimentare, vivere. Interessante il suo punto di vista sulla menzogna e verità: “Il senso di tutte le cose tende ad assomigliarsi appena ti viene richiesto di esprimerlo, e sembra che la verità possa esistere soltanto nella reticenza”… una storia è un concetto ambiguo”. Per questo non è importante indagare per stabilire se si tratta di una storia autobiografica o meno, e il titolo, lo dice chiaro.  

Interessante anche l’aspetto anticonvenzionale, anticonformistico di Veronica che non condivide l’idea della maternità legata al sesso o come realizzazione di ogni donna, esprimendo palesemente il suo desiderio di non maternità, in antitesi alla madre che invece avrebbe voluto un esercito di figli. Toccante (e condivido) la scena in cui dichiara l’unica volta in cui ha sentito davvero l’istinto materno (inscindibile dal suo ruolo di estranea e quindi non direttamente responsabile) nell’accudire la figlioletta di un gruppo di sconosciuti completamente indifferenti ai bisogni della piccina “Pensai che quello era il mio ideale di famiglia: una bambina e una ragazza che non si conoscevano e che non si sarebbero mai riviste”.

Sorprendente la capacità della scrittrice di riuscire a fare letteratura e a farla bene, anche attraverso la narrazione di argomenti intimi e imbarazzanti come il bisogno quotidiano di andare in bagno, spesso correlato a difficoltà inenarrabili, svelando anche in questo, la peculiarità del suo animo sensibile e appropriato. Anche le parolacce che spesso popolano le pagine del libro, non hanno mai un carattere offensivo o volgare, dimostrandosi sempre opportune e calzanti.

Una scrittura carica di ironia, sarcasmo, provocatoria per il perbenismo bigotto (Veronica non esita a parlare di sesso libero, di droghe leggere di cui fa uso, di fughe in autostop), divertente, comica per le esilaranti scene che l’autrice continuamente ci propone (per darne solo un esempio, basta pensare all’immagine del padre che costruisce muri a separare le stanze dell’appartamento riducendolo a una sorta di alveare, oppure la madre che riesce sempre a rintracciare al figlia ovunque cerchi di fuggire, o avvolta nella vestaglia rossa, con la banda intorno alla nuca, ad ascoltare Radio3 in preda agli attacchi di emicrania). “Siamo al paradosso” avrebbe detto il padre, che nasconde tra le pieghe della moralità anche lui il suo piccolo segreto.

Non mancano però i momenti di tristezza e di commozione, come durante la malattia e il lutto che portano spesso alla riconciliazione, al ristabilirsi di un’armonia oscurata in vita ma che la morte porta di nuovo in superficie.

Un libro davvero interessante che vale la pena di leggere, una scrittura sapiente, ricercata, inusuale, che sa cogliere i lati più nascosti dell’animo umano, svelarne i difetti e le virtù, catturare le imperfezioni della società in maniera leggera e canzonatoria, denunciare senza giudizio e polemica, capace di far ridere e commuovere al tempo stesso.

27 maggio 2022  

di Antonella Cipriani

1 commento su “Antonella Cipriani legge ” Niente di vero” di Veronica Raimo”

  1. Brava Antonella! Pur non condividendo tutto il tuo entusiasmo per questo testo, che descrive bene -a parer mio- un vuoto sociale ed esistenziale straziante, sottoscrivo ogni parola di questa recensione, che coglie e rappresenta appieno i pregi di “Niente di vero”.

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