
Siamo nella Firenze del 1800.
L’architetto Poggi abbatte le mura della città per preparala a diventare la capitale d’Italia come infatti avviene dal 1865 al 1871.
Ed è per questo che, su di una collinetta, sorge un luogo che ospita i defunti della Comunità Evangelica e che prende il nome di cimitero degli inglesi.
Quello spazio, più simile a un rifugio che poco si addice all’architettura della città, è pregno invece dello spirito della letteratura gotica, fantascientifica e paranormale che ha origine dalle parti di Ginevra.
Scrittori come Lord Byron, Mary Shelley, Claire Clairmont Percy Shelley, Polidori iniziano a raccontare storie di fantasmi, vampiri e morti viventi. Danno a questa nuova forma di scrittura l’identità di letteratura gotica e mettono, fatalmente, in risalto l’oscura presenza dei cimiteri altrimenti dimenticati.
Da questo momento la narrazione si fa sempre più fantasiosa e pittoresca dalle caratteristiche di una opera teatrale.
Davanti al lettore, infatti, come per magia, la collinetta, simbolo di morte, si trasforma in un palcoscenico di vita.
Gli scrittori gotici costretti a giacere separati nei sotterranei vicoli della morte, mossi da forze ignote, paranormali, fuoriescono uno dopo l’altro dalle loro tombe.
La poetessa Elisabeth Barrett Browing è la prima a svegliarsi dal suo lungo sonno.
Si osserva lunga e di traverso. Legge la sua data di morte, 29 giugno 1861. È incredula. Lei è viva. Si sente viva. Dove si trova? Senza l’uso delle gambe si trascina a terra.
Il lettore che conosce e ama i suoi versi d’istinto glieli recita: la terra è riempita di cielo, è ardente di Dio.

Elisabeth si riprende, si guarda attorno.
Cosa sono quelle scatole che corrono oltre la staccionata con le persone dentro? Sente odore di aria puzzolente. È forse nell’inferno?
Quindi Elisabeth s’imbatte nel suo amico poeta e scrittore Walter Savage Landor, di Warwick, ripresosi, nonostante i novant’anni, ai piedi di una lapide che porta il suo nome.
Elisabeth e Walter si conoscono.
Seppur sconcertati conversano su ciò che tuttora più li lega, i ricordi di famiglia, gli amici ma si domandano anche dove sono finiti. In inferno o in una specie di limbo? Oppure in una stazione intermedia che la religione cattolica definisce purgatorio?
Non hanno ancora la risposta quand’ecco apparire davanti a loro, in carne e ossa, il poeta tedesco Arthur Hugh Clough che con grande stupore nel trovarsi lì, vivo, si unisce ai due. Racconta, per la gioia di Elisabeth, che il Risorgimento ha vinto, che Firenze rimase capitale solo fino al 1871. Che lui viene dal futuro, dal 1937, e che forse anche loro hanno fatto un viaggio attraverso il tempo motivo per cui sono vivi qui, adesso.
In questo racconto, passato, presente, futuro, radici della medesima quercia, s’intrecciano sullo stesso palcoscenico al pari della morte che si confonde e fonde nella vita.

Arthur va in giro per quel palco e incontra il giornalista Robert Davidsohn che benché anche lui appartenga al futuro non lo riconosce.
Arthur se ne rammarica, non è certo un booster per il suo ego.
I dialoghi fra i quattro morti che si ritrovavano vivi più di prima per le reciproche conoscenze, i valori umani condivisi e soprattutto per la cultura che li accomuna, fra cui la scrittura gotica, come pure la connessione intellettuale, si aggiornano e divagano sul significato della parola futuro, del loro futuro chiusi dentro una collinetta. Chi verrà a salvarli?
Avviene l’incredibile. Un giovane si avvicina a loro. Pensa che siano una rappresentazione storica che usa il cimitero come palcoscenico e chiama il 112.
“Una volante sarà qui in pochi minuti.”
Avete mai immaginato la smorfia di stupore sulle facce dei morti vivi?
Beh, è ciò che spinge il giovane a raccontare loro di un certo Meucci.
«Che potenza tecnologica che è l’Italia» dice Elisabeth.
Adesso che quei morti sono tornati in vita non vogliono più morire anche se la morte come dice Arthur non esiste. Ed ecco nascere la disquisizione su una materia che più ideologica di quella non ce n’è.
Ai carabinieri che li prendono per drogati, chiedono di poter uscire da quel luogo, non hanno la minima idea di che cosa stessero parlando.
Segue l’interrogatorio: «Siete dei turisti? E i documenti? Perché vi siete mascherati?»
La vicenda per i morti vivi si complica invece di risolversi. Impronte digitali, ricerche DNA per tutti.
Raccontano di essere dei letterati, poeti, giornalisti. Si presentano con il loro nome e cognome. In effetti, le loro fotografie custodite negli archivi della biblioteca nazionale assomigliano molto ai quei morti viventi.
La polizia li mette in una pensione con la speranza che non si venga a sapere che si dia asilo a tutti i vagabondi che trovano rifugio nel cimitero degli inglesi.
I ritornati in vita osservano il mondo del XXI secolo.
Macchine, treni, aerei e milioni di morti sulla strada e sul lavoro.
Elettrodomestici di ogni genere insieme a tutto ciò che il XXI secolo si porta appresso.
Bene, cari lettori, mi fermo qui affinché possiate approcciarvi al racconto in modo spassionato, entrare nelle sue peculiarità, soddisfare soprattutto la curiosità di conoscere l’insolita, inaspettata fine.
di Antonietta Toso
“Il ritorno degli inglesi” è presente nella raccolta “Apocalissi fiorentine” (Tabula Fati, 2019) di Carlo Menzinger di Preussenthal