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Recensione del libro, romanzo di  L. N. Tolstoj

di Gabriella Zonno

La morte di Ivan Il'ic - Lev Tolstoj - copertina

Sono molto contenta ma soprattutto commossa nello scrivere questa recensione. E’ doveroso da parte mia ringraziare il mio gruppo di lettura, che fa parte della grande famiglia legata al Gruppo Scrittori Fiorentini. Premetto che non ho scelto io questa lettura. Tal libro è stato scelto di comune accordo dal gruppo in quanto ogni mese leggiamo un libro. In genere alterniamo un libro di letteratura contemporanea e un romanzo della grande letteratura. Fin qui è facile scrivere. Dicevo che sono commossa. Infatti, non è la prima volta che mi trovo a leggere testi molto intensi quando mi trovo a vivere un lutto importante. Era accaduto quando erano venuti a mancare i miei genitori, sta accadendo in questo periodo durante il quale purtroppo ho perso il mio compagno. Veniamo al libro, che fu pubblicato nel 1886.  Un periodo preceduto da una profonda depressione nella vita dell’autore.  Inutile dire che Tolstoj è immenso nel descrivere la società russa mettendo in risalto l’ipocrisia di fronte alla morte. La storia riporta il viaggio verso l’incontro con la morte del protagonista. Ivan Il’ič  un tipico borghese, che svolgeva un classico lavoro borghese. Giudice istruttore. Sposato per convenienza. Due figli. Tutto procede in modo tranquillo e perfetto fino a quando Ivan cade improvvisamente. Grazie a questa caduta, Tolstoj riflette e ci fa riflettere sul significato della morte. Inutile dire che Tolstoj ha una visione profondamente cristiana di questa tragedia umana. Lasciatemi dire però che Tolstoj rivela anche la sua profonda spiritualità. Tolstoj non è uno scrittore distaccato dalla vicende che narra.  Rivela come ha fatto in tutte le sue opere, la capacità di provare empatia, senza scadere nel buonismo. Scriveva, infatti, nel capolavoro Guerra e Pace : “

L’amore impedisce la morte. L’amore è vita. Tutto, tutto ciò che io capisco, lo capisco solamente perché amo. È solo questo che tiene insieme tutto quanto. L’amore è Dio, e il morire significa che io, una particella dell’amore, ritorno alla sorgente eterna e universale.”

Il protagonista non accetta la morte, non perché non esista, ma perché un borghese dalla Vita perfetta non può morire, lui che aveva tutto non può morire e non può soprattutto morire soffrendo. Ciò è tipico infatti delle classi povere, certo non delle classi abbienti. Ritroviamo anche in questa vicenda così intimista la visione sociologica e politica di L. Tolstoj.

. “Non è possibile che mi tocchi di morire. Sarebbe troppo atroce.”

“ Piangeva per la propria impotenza, per la propria terribile solitudine, per la crudeltà degli uomini, per la crudeltà di Dio, per l’assenza di Dio…..Perché hai fatto tutto questo? Perché mi hai condotto qui? Per qual motivo, perché mi torturi così orrendamente?…”. La vicenda però è l’occasione per il protoganista per cambiare il suo approccio alla Vita

“Vivere? Come vivere?”, domandò la voce dell’anima. “Sì, vivere come vivevo prima: bene, piacevolmente”. “Come vivevi prima, bene e piacevolmente?” domandò la voce. Ed egli si mise a ripercorrere nell’immaginazione i momenti migliori della sua vita piacevole. Ma, cosa strana, adesso gli apparivano completamente diversi da come erano apparsi allora, Tutti, a eccezione dei primi ricordi dell’infanzia. Là, nell’infanzia, c’era qualcosa di effettivamente piacevole, con la quale sarebbe stato possibile vivere se fosse ritornato a lui. Ma l’uomo che aveva sperimentato quel piacere ormai non esisteva più: era come il ricordo di qualcun altro. Non appena aveva inizio quel processo che poi era sfociato in ciò che lui era in quel momento, l’Ivàn Il’íč di adesso, tutte quelle cose che un tempo gli erano sembrate fonte di gioia prendevano ora a disfarsi sotto i suoi occhi, e a tramutarsi in un che d’insignificante e spesso ripugnante ( cit.).

Tolstoj infatti credeva profondamente che la rinascita morale potesse iniziare soltanto dal cambiamento interiore dell’uomo.  Si intravvede in ciò il suo interesse per il buddismo. Elemento troppo spesso dimenticato, nel parlare di questo autore così caro a D.Ikeda, attuale Presidente della SGI Internazionale.

 Piano piano tutti si allontanano da Ivan. Si allontanano dimostrando quali sono i veri sentimenti nei confronti del protagonista. Emerge tutta l’ipocrisia della moglie e dei colleghi. L’unica persona che rimane vicino al protagonista, è un umile servo, di nome Gerasim. Sarà lui ad incarnare la figura portatrice del messaggio salvifico.

Il momento più tragico e immenso però sarà proprio quando Ivan ilich è in punto di morte, l’ultima scena. Sono presenti il feele servitore e il più giovane dei due figli:”

“Questo avvenne alla fine del terzo giorno, un’ora prima della sua morte. In quello stesso istante il ginnasiale piano piano penetrò nella stanza del padre, e si avvicinò al suo letto. Il moribondo continuava a gridare disperatamente e ad agitare le mani. La sua mano andò a finire sulla testa del ginnasiale. Il ginnasiale la afferrò, se la portò alle labbra e si mise a piangere.

In quello stesso istante Ivàn Il’íč sprofondo, vide la luce…..”.

Non vi nascondo che leggendo queste parole mi sono messa a piangere.  Con queste parole, concludo la mia recensione.

Ringrazio davvero il mio gruppo di lettura e,ovviamente, il GSF.

Buona lettura,

Gabriella Zonno

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