Renato Campinoti legge “Il noce dell’Alderga” di Luigi Bicchi

Un’operazione culturale per una vicenda che ci riguarda

Una piacevole e interessante sorpresa questo volume di racconti di Luigi Bicchi. 

Non che dubitassimo delle qualità di scrittura di Luigi, tanto meno della sua capacità di cogliere, anche nei romanzi col suo maresciallo Casati, gli aspetti più profondi dei caratteri dei personaggi e della loro interazione con le situazioni da lui abilmente costruite. Resta tuttavia che questa volta compie una vera e propria operazione culturale realizzando, come dice il sottotitolo della raccolta, un Romanzo per racconti, fotogrammi della nostra storia. 

Ci riesce in pieno, costringendoci, prima di tutto noi che siamo della sua generazione, a fare i conti con i passaggi cruciali delle nostre storie personali e delle vicende che ci hanno, nel tempo, lasciato il segno. Dobbiamo molto a Bicchi, da questo punto di vista, perché compie questa operazione di rievocazione della coscienza collettiva di intere generazioni usando l’arma a lui più congeniale, ma anche la più difficile: la letteratura e in essa, una serie di racconti. 

Si parte così col racconto che giustamente da il titolo alla raccolta, Il noce dell’Arderga, che evoca lo spettro peggiore per il povero contadino, ma anche per tutti noi, la solitudine. 

“ascolterò comunque, sentirò voci, altri racconti e sarò meno solo”, dice l’uomo che ha perduto la persona amata e, con essa, il figlio che aspettava, e che si accontenta di sentire le voci che gli portano le foglie del noce. 

Sarà ancora lui, nel racconto ormai verso la chiusura della raccolta (epilogo), che rovescerà la situazione, mettendosi a raccontare lui le storie alle foglie del noce perché, come vuole dirci lui, insieme all’autore, finché ci saranno racconti, avremo uno scopo per vivere. 

Con una partenza così non possono che essere di alto profilo i racconti che danno il vero inizio alle vicende della nostra generazione, a cominciare da quel giovanotto che, pieno di competenze manuali e di speranze che il capo fascista se ne accorga e lo tolga dal lavoro nei campi, finirà per capire al volo, quando il fascismo ha iniziato a portare il Paese nella situazione sbagliata e drammatica, da che parte stare (la scelta) e ritrovarsi così, nell’Italia liberata, a pedalare per tornare dai suoi e dalla ragazza che spera di ritrovare. 

Bellissimi i due racconti collegati che parlano sia della scelta del maggiore di unirsi ai partigiani sul Montemaggio, nel senese, sia delle scelte di Marco, quello minore, che sarà aiutato, rimasto orfano, dai conoscenti della famiglia, che vivrà l’esperienza dell’attentato a Togliatti e delle vicende dolorose dell’Amiata. 

Un’attenzione particolare Bicchi riserva alle donne, dedicando loro tre racconti tutti intitolati La guerra delle donne e distinti solo dalla numerazione. 

Si parte dal ruolo, decisivo, delle donne, anche quelle rimaste con i mariti dispersi, per sostenere quelle i cui mariti hanno fatto la scelta di unirsi ai partigiani e che abbisognano di essere sostenuti in tanti modi, senza farsi scoprire dai fascisti e dai tedeschi. 

Più amaro, ma non meno realistico, il secondo racconto sulla difficoltà delle giovani donne, che pure stanno prendendo coscienza dei loro diritti, per inserirsi nel mondo del lavoro, dove ancora, soprattutto nel ceto medio, imperano pregiudizi e opportunismi. 

Di alta scuola nello stile, drammatico nei contenuti, infine, il racconto che ci fa incontrare la guerra dei femminicidi, che rappresenta, tuttora, una delle piaghe sociali e culturali più gravi della nostra società. Bicchi non tralascia nulla delle tappe fondanti della nostra coscienza, dal dramma del terrorismo, a quello della corruzione e dei centri occulti di potere, portandoci fino, ai giorni nostri, a guardare in faccia l’assurdità di una società che si avvia a distruggere il rapporto tra formazione e lavoro e a fare di questo, il lavoro, qualcosa di occasionale e inaffidabile per le giovani generazioni. 

Ho lasciato per ultimo il racconto che, nella drammatica situazione della guerra in Ucraina, mi pare quello di più stringente attualità, quando ne La sala il padre dirigente del partito comunista, declassato per la scelta di non aderire alla linea ufficiale di sostegno all’invasione dell’Ungheria da parte dei sovietici, dirà in un intervento: “E’ dovere dei comunisti farsi capire da tutti. Non lo è sparare! Non si sostituisce la forza al pensiero” 

Parole che, pur in una situazione completamente mutata, risuonano di una grandissima attualità e ci ricordano che non finisce mai il tempo dell’impegno per la pace. 

“Scrivere è un’attività che spesso fa rima con solitudine” dice Bicchi a premessa dei soliti, giusti, ringraziamenti. È vero Luigi, ma come tu sai, quando, come in questo caso, dalla solitudine nasce un romanzo corale, come quello che ci hai consegnato, che è capace di farci riconoscere nei vari, tanti personaggi che popolano le pagine dei tuoi bei racconti, allora verrebbe da suggerirti di stare ancora più solo, perché tanto, lo sai, noi siamo lì vicino a fare il tifo per il tuo prossimo lavoro e a ringraziarti ancora una volta perché, come ci dici nel prologo, i racconti sono la nostra storia, i racconti siamo noi.

di Renato Campinoti

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